Immortalità

«[...] Essere immortale è cosa da poco: tranne l'uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali. Ho osservato che, nonostante le religioni, tale convinzione è rarissima. Israeliti, cristiani e musulmani professano l'immortalità, ma la venerazione che tributano al primo dei due secoli prova ch'essi credono solo in esso, e infatti destinano tutti gli altri, in numero infinito, a premiarlo o a punirlo. Piú ragionevole mi sembra la ruota di certe religioni dell'Indostan; in tale ruota, che non ha principio nè fine, ogni vita è effetto dell'anteriore e genera la seguente, ma nessuna determina l'insieme...


Ammaestrata da un esercizio di secoli, la repubblica degl'Immortali aveva raggiunto la perfezione della tolleranza e quasi del disdegno. Essi sapevano che in un tempo infinito ad ogni uomo accadono tutte le cose. Per le sue passate o future virtù, ogni uomo è creditore di ogni bontà, ma anche d'ogni tradimento, per le sue infamie del passato o del futuro. [...]»

Da L’Immortale, in L'Aleph (1949), J. L. Borges.

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