Vagabondo Aengus

Mi sono avvicinato a Yeats per caso; dieci anni fa, contagiato dalla fame tipica di chi ha appena scoperto la poesia, comprai un libriccino ritenendolo, causa stretta assonanza, una raccolta di Keats. All'inizio rimasi deluso: volevo la Belle Dame Sans Merci (Oh, what can ail thee, knight-at-arm...) e mi ritrovavo con un aviatore irlandese che vedeva, in un futuro vicino, la propria morte. 
Decantato il disappunto, imparai presto a conoscere e ad apprezzare questo non facile poeta. La svolta decisiva l'ha segnata Aengus e la sua fiaba eterea, forse per l'atmosfera vicina a molte storielle di De André.


Negli anni successivi l'ho riscoperta prima con Donovan, che la cantò nel 1971; successivamente con Branduardi, che coverizzò il lavoro dello scozzese, con una felicissima traduzione italiana. Un autore va sempre letto in lingua, fintanto che la si mastica; propongo quindi il testo originale. 

The Song of Wandering Aengus

I went out to the hazel wood,
Because a fire was in my head,
And cut and peeled a hazel wand,
And hooked a berry to a thread;

And when white moths were on the wing,

And moth-like stars were flickering out,
I dropped the berry in a stream
And caught a little silver trout.

When I had laid it on the floor

I went to blow the fire a-flame,
But something rustled on the floor,
And some one called me by my name:
It had become a glimmering girl
With apple blossom in her hair
Who called me by my name and ran
And faded through the brightening air.

Though I am old with wandering

Through hollow lands and hilly lands,
I will find out where she has gone,
And kiss her lips and take her hands;
And walk among long dappled grass,
And pluck till time and times are done
The silver apples of the moon,
The golden apples of the sun.

Faustiniana Clarissima Femina

Non avevo mai sentito parlare di Gino Facchin fino a poche sere fa, quando in un vile succo di stanchezza, cultura e campanilismo, ho sfogliato una ricca e curata antologia della storia di Concordia, o meglio della sua diocesi. Due volumi che da venti anni riposano, fin troppo, nel mio salotto.

Ho scoperto così le discrete doti poetiche di questo stimmatino di origini concordiesi, defunto circa otto anni fa. Quasi trentenne, dedicò una coppia di poesie al suo vecchio paese natale e alle importanti origini. Riporto il testo della poesia in oggetto, dedicato a Faustiniana, nobile matrona di fede cristiana del quinto secolo dopo Cristo, il cui prezioso sarcofago ognuno può ammirare negli scavi romani sotto piazza Costantini.

Il mio abito è lutto
e vietato è l’amore alle mie mani
spalmate d’olio santo.
Ma oggi accarezzo con pia voluttà
La conchiglia e il cantaro
e le foglie tenaci di palma
espanse sul tuo sepolcro,
Faustiniana.
Odora il nardo delle tue vesti
negli orceoli vuoti
e il tuo passo mi è accanto
più leggero del lungo silenzio
dei secoli, matrona,
nell’ombra soave di un sogno
per colloqui soavi
evocata.

Ci sono immagini notevoli e altre, secondo la mia modestissima opinione, un pò meno fortunate; per quanto mi riguarda, ho apprezzato molto gli echi dal Cantico dei Cantici, lontani ma presenti (I tuoi germogli sono un giardino di melagrane / con i frutti più squisiti / alberi di cipro con nardo / nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo; Cantico dei Cantici, 4,13-14); la felice enumerazione; la delicata sinestesia del silenzio leggero.

Per i più pigri, riporto la migliore foto del sarcofago che sono riuscito a scovare, e l’iscrizione che si può leggere su di esso, con traduzione. (Non è permesso, ahimè, fotografare l’interno degli scavi.)
 


FAUSTINIANA C(LARISSIMA) F(EMINA)
FAMULA CHRISTI
SE SUAMQUE SEPULTURAM
VIVENS CHRI(STI) S(ANCTO) TABERNACULO
AC SANCTORUM MEMORIAE COMMENDAVIT

Faustiniana, donna di rango senatorio,
serva di Cristo,
ancor viva affidò sé e il suo sepolcro
al tabernacolo di Cristo
e alla memoria dei Santi.

Waiting for a Turkish Van

Ho due gatti, i cui nomi non citerò per rispetto del buon costume, che hanno campato alla grande rispettivamente per dodici e undici anni, e che hanno intenzione di camparne altrettanti. Per la precisione, una gatta di madre certosina e padre persiano, pelo corto e bigio; e un gatto, figlio della prima, padre ignoto e una vaga somiglianza con Tom di Tom&Jerry.

Ciò non preclude che io non possa accudire altri felini, d'ora in avanti.
E' notorio, per chi mi conosce, che in lista ci sono già un birmano e un british shorthair blue.

 Gatto birmano.

British Shorthair Blue.

Oggi la lista si è allungata: esigo accudire un turkish van, o turco van, all'italiana.
Pare sia una razza piuttosto rara, ma cercando i prezzi in rete, pare siano più bassi degli altri due. Bah.

 Turkish Van.

E' un gatto bellissimo, poco da dire: ma la sua particolarità è l'amore istintivo per l'acqua. Sì: é forse l'unica razza di gatti che non prova alcuna paura atavica per l'acqua, anzi, è un nuotatore provetto e si tuffa appena ne ha la possibilità.


Un gatto che ama l'acqua.

Lo voglio. Regalatemelo.

Rumatera, morti de figa

Semo  i pexo morti de figa
Rumatera da Cassago de Pianiga!

Ho ascoltato i Rumatera.

Due anni sono passati dallo scioglimento dei Catarrhal Noise e dalla fondazione della nuova creatura del Bullo, e per due anni la paura che i Rumatera non avrebbero retto il confronto mi ha attanagliato, costringendomi a ritardare questo passo.

Una piccola premessa. I Catarrhal Noise erano una band heavy/thrash metal, con spiccate influenze crossover. I Rumatera suonano punk rock e dai primi ereditano un cantante, un ex chitarrista, e il fardello di esserne considerati gli eredi spirituali.

Ora, tutti sappiamo perché i Catarrhal Noise ci piacevano - e ci piacciono: per aver trasposto in musica e la cultura del rujo, termine difficile da sviscerare a chi non è nato e cresciuto nel nostro entroterra. Essere rujo è sì essere grezzo oltre ogni limite, volgare, contadino, ma è anche essere sincero, diretto, semplice, legato alla propria terra, e soprattutto è consapevolezza di esserlo e di volerlo rimanere. Ecco perché é divertente ascoltarsi un album dei CN, perché ci si immerge ogni volta in un mondo popolato da tratori, trina, tori da monta, leamàri e buèe marse, che altro non é che una lettura grottesca ma affettuosa di quella galassia pedemontana che Paolini ha omaggiato in bestiario veneto. Intendiamoci: paragonare i Catarrhal a Paolini è come affiancare Alvaro Vitali a Humprey Bogart. Ma a noi ruji basta poco:

So nato in campagna in mexo dee nogare
'ndavo in oratorio coa machina da arare
pisavo sul bidet, xogavo in mexo al formenton
me nono me butava el tocai sul biberon!

Ora, un genere estremo come il thrash e la voce contadina del Bullo calzavano alla perfezione con una quartina simile. E il punk rock dei Rumatera?

Ecco, il grosso fastidio è tutto qui. Il punk rock è più semplice, più festaiolo, e questa differenza, non so se volutamente o meno, si rispecchia anche nei testi dei Rumatera. Sembra quasi che pensino solo a far festa e a correr dietro alle gonnelle. Certo, non stiamo parlando di quattro fighetti, anzi, il tutto è ancora una volta intriso di cultura campagnola, di dialetto. Ma se i Catarrhal te li immaginavi sul tratore a fare la gara del solco drito dopo na sgionfa de vin, i Rumatera te li vedi sulla spider mentre passano a tutta velocità a Cassago de Pianiga. Certo: la spider è diventata tale grazie ad una mòea a disco e la stanno guidando verso una festa piena de vin e porsèe. Ma il tratore? io volevo ANCHE quello. Perché i CN avevano l'uno e l'altro.

Rumatera, 2008. Il barbo è una citazione che mi commuove.

Qualche spiraglio di luce campagnola ogni tanto compare nei due album (Rumatera, 2008; 71 gradi, 2010). E' il caso di Toxi de campagna, immancabile pezzo rappato da Medrano coi Rumatera:

I toxi de campagna poenta e ossi magna
Te i cati ae sagre sora el paeo dea cucagna
I toxi de campagna co pissa i se bagna
I porta pasegiare su pa l'arzare a cagna...

o di Vai col Lissio, probabilmente il migliore dei nuovi testi, stupendo tributo ai vecchi da sagra:

Altro che cartoni o ecstasi, i se carbura a pesse frito e vin
'Ndando casa no i se smalta mai adosso a un pin...

Ma la rujerìa (pochi apprezzeranno il doppio senso) fine a se stessa è davvero poca. Per il resto, tete, cùi, fighe, e alcol. Per carità: il tutto è volutamente demenziale, quindi si ride lo stesso. Penso a Me sò inamorà:

E a mi me piase quee piene de peo
Quee che rutta, che scoresa e che fa festa co l'oseo
Che se imbriaga e che spantassa sotto ea toea...

o a No Bevo Più:

Dimme parchè, ti dimme dimme parchè
Pensavo fusse na roja invesse jera un bidet
Ea prossima volta bevo acqua e limon
Serco de stare tranquio, no fare massa el cojon

E come non citare la metafora pù bella che io abbia mai sentito del salto del giaguaro:

Arare sempre a fondo, e semenare fora!

Per quanto riguarda l'aspetto musicale, beh, chapeau. Ho dovuto riabituarmi alle sonorità punk rock commerciale che non ascoltavo da dieci anni, ma una volta recuperato l'orecchio, sono rimasto sbalordito. Tutte le canzoni sono godibilissime, e ci sono pezzi da novanta che farebbero muovere il culo persino a tua nonna in carriola (Assa perdare i Pin Floi, Morti de Figa). La voce contadina del Bullo é una garanzia e anche Gosso's Party e Rocky Gio se la cavano dietro al microfono.

71 gradi, 2010. Lo hanno presentato su Radio Deejay un paio di mesi fa.

In definitiva, luci e ombre. (Le ombre peggiori? Trivero Alcolica dall'ultimo album... Completamente in italiano! Delusione. E My Crew, album del 2009 che altro non é che la ri-registrazione del primo, in inglese.)
Chi cerca i Catarrhal nei Rumatera, rimarrà soddisfatto a metà. Chi non cerca niente e li ascolta onestamente, si divertirà come un porsel tal leamàro. L'ultimo confronto da fare è quello dal vivo: I Catarrhal erano una potenza della natura. Pure i Rumatera si presentano come tali: ora sono decisamente curioso di ascoltarli. Appuntamento più vicino: 6 agosto, 21.30, festa dea bira, Stretti - vissin Torre di Mosto.

PS. Non posso non citare Sol bareotto del mas'cio, ballad acustica introdotta da un esilarante richiesta di canzone romantica da parte di un napoletano che cerca di parlare veneto:

Te me piaxi co te sighi come e gaine del ponaro
E dopo quando che ti aro mi sento tanto sentimento
No come quando ciapo e piegore, i cunici e e cavarette
E li toco anche le tete, ma no sento sentimentoooo...

Geniale.

PPS. Questo è il video di Picinin, cover della famosa canzone dei Pitura Freska. Ospite alle vocals, Furio.

Metallicità

Tiriamo le somme sui primi sei mesi di rock/metal del 2010. Consigli per gli acquisti.

"Now I shall reign in bloooood!"

Thrash. 2010 anno d'oro per il sottogenere. Ironbound degli Overkill, uscito a inizio anno, é una bomba che in pochi si aspettavano da un gruppo quasi finito nel dimenticatoio. Si difendono a spada tratta The Obsidian Conspiracy dei Nevermore, Exhibit B: The Human Condition degli Exodus e gli Annihilator con l'omonimo album. Date in pasto le vostre ossa alle vecchie glorie del thrash, ve le maltratteranno a dovere.
Power. La punta di diamante é Time To Be King dei Masterplan, con un Lande rientrato nei ranghi per una prestazione superba. Non lasciatevi sfuggire i due nuovi album degli Avantasia (The Wicked Symphony e Angel of Babylon): un ottimo ritorno alle sonorità dei primi due dischi. Con un roaster stellare, Lande e Kiske sopra tutti. Ma tutti tutti. Notevole la vena ispiratoria dei Sabaton, peccato per la penosa pronuncia inglese del cantante. Ma l'album, Coat of Arms, merita comunque ben più di un ascolto. E non tralasciate i triestini Rhapsody of Fire, con The Frozen Tears of Angels. Nulla di nuovo, per fortuna: tante orchestrazioni, tanta doppia cassa e tanti coretti e strumentelli medioevali, come è giusto che sia.
Folk. I Mago de Oz giocano la carta di Gaia 3: Atlantia, sperando nel successo dei precedenti episodi. Album piacevole, ma forse sotto tono rispetto agli ultimi. Meglio ascoltarsi Salt dei Wuthering Heights, che stupiscono sempre, con la loro commistione di power, thrash, heavy, prog e folk. E non dimentichiamo i Finntroll, anche se Nifelvind è fortemente intriso di black. Ma i maestri del genere non si discutono.
Black. Non amo il genere, ma alcuni gruppi non si possono trascendere. I Keep of Kalessin rientrano in queste file. L'album, Reptilian, è malato, malvagio, tecnico e pulito. Magari fossero tutti così.
Death. Non ho seguito molto la scena, ma devo citare i Raintime, non solo perché di Pordenone, ma soprattutto per la naturalezza con cui fondono il Death con altri generi più leggeri, Bodom docet. Psychromatic ne impreziosisce alquanto la discografia. E We Are The Void dei Dark Tranquillity, che si comprano sempre a occhi chiusi, non delude.
Prog. La grande delusione, Road Salt One dei Pain of Salvation. Non reperiti. Due palle di album. Evitatelo come la peste. Bello il rientro degli Asia, Omega ne risolleva le sorti, anche se è molto hard-oriented. La vera rivelazione sono gli Shaolin Death Squad con Five Deadly Venoms. Non vi anticipo niente, se siete amanti del prog, procuratevelo ad occhi chiusi.
Heavy. Poco materiale anche qua, ma buono. Strings To A Web dei Rage, che da venti anni e passa non ci tradiscono.  vi manca la voce di Dio (Ronnie James), non lo rimpiangerete con Requiem of Time degli Astral Doors e con i chitarroni potenti dei Dream Evil e del loro In The Night, il nome del gruppo é tutto un programma. In conclusione, non si può non citare la sempreverde, leggendaria Strana Officina, che fa nuovamente capolino nei negozi con Rising To The Call, diretto come un cazzotto in faccia, e i Grand Magus e il loro immortale Heavy/Doom. Hammer of The North trasuda epicità da ogni poro.
Hard/AOR. Primi in assoluto per vena compositiva, immediatezza, pulizia del suono e tutto quello che volete, i Treat di Coup de Grace. Album rock dell'anno, per ora. Imperdibile. Potete provare anche Facemelter degli Y&T, era ora che si rifacessero vivi, sui classici si può fare sempre affidamento. O quasi: Meat Loaf stanca subito, con il suo Hang Cool Teddy Bear. Anche con l'apporto di Steve Vai e Brian May. A tener testa ai Treat ci sono gli H.E.A.T, con Freedom Rock. Non pensavo potessero comporre un album più divertente del precedente, e sono stato puntualmente smentito. Viva la Svezia. Se vi son piaciuti gli H.E.A.T, insistete con gli Auras di New Generation. Viva anche il Brasile. Ultime parole per il canto del cigno degli Scorpions, A Sting In The Tail. Il migliore album degli ultimi vent'anni di Scorpions, e scusate se è poco: degna conclusione per una band leggendaria. 

Ora attendiamo The Final Frontier, il nuovo album degli Iron Maiden. Nel sito ufficiale è scaricabile gratuitamente il primo singolo, Eldorado. L'album uscirà il 16 agosto, e il 17 ci sarà il concerto a Villa Manin: non aggiungo altro.

Duecento lire

Il periodo delle elementari è particolarmente vivo di questi tempi. Continuo a dedicargli qualche riga, finchè il ricordo aleggia, non vedo motivo per non celebrarlo. 
La scuola dista tuttoggi mezzo chilometro da casa. Durante la bella stagione, ci andavo a piedi spesso. Alla mattina camminavo da solo, e mi godevo il silenzo, che grazie alle divinità ancora perdura. Percorrevo invece il ritorno con un amico che abita qualche metro accanto casa. Un giorno, non so chi di noi due trovò una moneta abbandonata a terra; fu un'illuminazione. Per settimane rientrammo da scuola camminando a testa bassa, cercando nuovi tesori. Alla fine i nostri sforzi da predatori furono premiati, e trovammo duecento lire. Il loro scintillio ci ammaliava. Avevo una gioia incontenibile in corpo; arrivai a casa e chiesi a mia madre di cambiarmele in due pezzi da cento. Il giorno dopo, consegnai metà del bottino al complice. Nei miei ricordi, questo è ancora uno dei gesti più sinceri di amicizia; se non é il più alto, almeno sarà stato il primo.
Continuammo per un certo periodo la carriera di raiders, poi un giorno trovammo una siringa usata. Eravamo coscienziosi e smettemmo. Queste righe intrecciano il simbolo di un'epoca.

Equiseti

Ogni mattina osservo, dal treno, ostinati equiseti arrampicarsi lungo la scarpata ferroviaria. Celebravo lo stesso rito molti anni fa, ai tempi dorati delle elementari. Costeggiavo la scuola, guardando a sinistra, a piedi o in bici; gli equiseti, caparbi, si inerpicavano allo stesso modo verso la strada, per non cadere nel fosso che la accompagnava. Mi sono sempre piaciuti, fin da quando la maestra ci spiegò che la stessa volontà li teneva in vita da milioni di anni.


Dopo gli equiseti, il fosso, dove alcuni dei miei amici, dopo la scuola, vanno a rane, Ma non è un posto buono, è meglio se andiamo fino al bacino, là non ci saranno auto a molestarle. Il fosso termina nel boschetto, ed accanto, campi, quasi sempre coltivati a mais; a ridosso dell'estate, quando il granoturco é ancora basso, e la scuola è agli sgoccioli, lo sguardo si perde fino alla strada del conte, e alle sue sparute case. Oltre, dove l'occhio non arriva, ancora campagna, la strada del frassine, il bacino, via acquador, qui cominciamo ad essere lontani, torniamo indietro, i filari di vite, la piazzetta, il pompon, e la strada di sassi di casa mia.

Tutte queste cose sono state, la maggior parte è ancora. Il fosso é stato interrato, gli equiseti si sono spostati lentamente altrove; un buon numero ora cresce dietro casa, incurante della soia. I primi campi accanto alla scuola si sono sacrificati all'edilizia. Mi domando quanto avranno il coraggio di resistere gli altri.

Moleskine

Ho comprato una Moleskine.


Ci scrivo proprio ora. Non ho ambizioni di diventare un novello Hemingway, o ancora meglio, un novello Chatwin. Ma mi tornerà utile, specialmente nei lunghi viaggi in treno, essendo sufficientemente piccola e leggera per i miei scopi. E più economica di un iPad, tra le altre cose. 
Parte di quello che vi scriverò finirà sul blog. Già sento le risate dei più smanettoni, Hai uno smartphone, usa quello. Cosa volete che vi dica, pergamena e penna d'oca riescono ancora ad affascinarmi.

Ravenna

Nel weekend ho visitato nuovamente Ravenna. Causa portante, la mostra dei preraffaeliti, della quale ho già parlato in passato. Per l'occasione, dunque, mi sono fermato una notte per ammirare con calma, ancora una volta, i famosi mosaici. 

Che meritano senza ombra di dubbio l'iscrizione nei registri dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Ma la città in sè è piuttosto deludente, non se la prendano a male i ravennati. In particolare, il fascismo ha fatto scempi, con la sua architettura semplicemente triste, devastando un centro di per sé carino. In conclusione, Ravenna é piena di monumenti bellissimi, ma non è bella in sé. Caratteristica che, scusatemi il campanilismo, hanno Concordia e Portogruaro. Gli importanti scavi romani e paleocristiani della prima, e il delizioso centro medioevale della seconda magari non meriteranno mai confronti con i preziosi mosaici ravennati, ma sono permeati della bellezza antica del tutto, dell'insieme. Una mia personale musica delle sfere, in piccolo, come piace a me.

Dietro casa hanno seminato di nuovo la soia. Invochiamo la clemenza cimicea.

Le considerazioni di cui sopra sono state formulate a quattro mani con colei che ha condiviso con me la trasferta.

Voi non fate lo spelling

Voi non fate lo spelling, voi compitate, cazzo, COMPITATE, è davvero difficile usare il termine italiano, cosa vuol dire fare lo spelling, verbo banale che sorregge un verbo straniero sostantivato, poche cose fanno più schifo, ha pure un suono orripilante, abbiamo una lingua che è un patrimonio, teniamola viva, per dio.

E, no, sillabare non va bene, sillabare è un'altra cosa, C-O-M-P-I-T-A-R-E e SIL-LA-BA-RE, termini diversi, azioni diverse, ci si può arrivare, prendetevi tutto il tempo.

Ekkekkazo, se nn ce lo skrivevo cuà io, nn c arivavi mika tu.

Lui l'ha presa anche troppo bene.

Letture anticristiane

Il titolo é volutamente fuorviante; niente Lavey, Nietzsche o pe(n)sante metallo, e nessuna circoscrizione al cristianesimo.
Ho concluso da poco un tre libri molto distanti tra loro per serietà, struttura e contenuti, ma riconducibili allo stesso filo conduttore: il rapporto tra Dio e l'uomo. Tre letture che consiglio.

Shalom Auslander é uno scrittore americano ateo, di discendenza ebraica. L'ho scoperto qualche anno fa con Il Lamento del Prepuzio, libro-diario che ho letteralmente divorato. Dissacrante, divertente, nichilista: immaginatevi Groucho Marx che se la prende con gli ebrei ortodossi. La curiosità era dunque forte per A Dio spiacendo (Beware of God: Stories), pubblicato il mese scorso da Guanda. Una collezione di racconti deliziosamente blasfemi, una nuova carrellata di risate per seppellire una tradizione, quella ebrea ortodossa, tra le più bigotte. Qualche esempio: un Dio stressato, costretto a tenere aggiornato per l'eternità il conteggio dei morti, che si incazza quando qualcuno sfugge ad un incidente stradale, e scende dal cielo per stenderlo col fucile. O rabbini demiurghi, fabbricatori di golem, che giungeranno a sparire dalla vita dei golem stessi perché troppo stressanti: acuta allegoria del rapporto col divino. Un'irriverenza intelligente che offre vari spunti di riflessione: da leggere a più livelli.

Josè Saramago, il mio romanziere preferito, Nobel per la letteratura nel 1998. Il 21 aprile é uscito Caino (Feltrinelli editore), in cui lo scrittore, ateo anch'esso, affronta nuovamente temi religiosi dopo Il Vangelo secondo Gesù Cristo (O Evangelho segundo Jesus Cristo) datato 1992. Quest'ultimo era una rivisitazione del nuovo testamento, in cui Cristo era dipinto come un uomo "reale", strumento nelle mani di un Dio del quale non riesce a comprendere i piani, e quindi pieno di rabbia, paura e, ciò nonostante, amore. Caino, simmetricamente, rielabora il vecchio testamento; il pastore uccide il fratello come reazione ad un capriccio di un dio imperfetto, suscettibile, limitato nelle scelte e nelle azioni. Come punizione è costretto a vagare, primordiale Ulisse, tra le pagine della Bibbia, e a raccontarne gli episodi più imbarazzanti e contradditori. Un continuo dileggio e litigio con la divinità, affrontato con tagliente ironia, e chiuso da una bellissima invenzione finale. Saramago, a 87 anni suonati, si conferma una delle menti più lucide e fervide del momento.

Dario Fo: altra mente vulcanica. In libreria trovate La bibbia dei villani, edizioni Guanda, arricchito da disegni originali dell'autore stesso. Non si sente parlare spesso di Fo, ma questo non vuol dire che il premio Nobel se ne stia con le mani in mano. L'ultima fatica è il frutto di minuziosi scavi nelle tradizioni popolari di casa nostra, che nel corso dei secoli hanno distorto i racconti biblici riadattandoli a contesti maggiormente, per l'appunto, "villani". Come risultato, Fo reinventa Dio e altri personaggi biblici rendendoli decisamente più umani, più sofferti, e anche più divertenti. I testi sono in commistioni di dialetti nordici, o di dialetti meridionali, o in dialetti arcaici. In più punti fa capolino il grammelot che gli è valso un Nobel ("seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi"). Qui l'incipit del libro.

Portosummaga in serie B

Non ho volutamente accennato all'argomento nelle scorse settimane, per evitare future prese in giro. Ora posso gridare ai quattro venti quanto solo sperato fino a qualche mese fa: il Porto è in serie B! E ci va da gran signore, in quanto vincitore del campionato di prima divisione (girone B). 
Come nella migliore tradizione epica, più è travagliato il percorso, più succosa è la meta. Una vittoria strappata in trasferta al Verona - capolista fino a due settimane fa -, di fronte a 25mila tifosi gialloblu (e 1300 mitici granata!) e con il fiato del Pescara sul collo genera una certa soddisfazione. 
Complimenti al tecnico Calori, ora già nelle mire dell'Udinese, e alla squadra, sia agli otto (otto!!) esordienti di categoria, che alle vecchie glorie (Cunico e Mattielig sono nel Porto dalla D). Ora godiamoci l'ebbrezza del momento e la finale di Coppa Italia Lega Pro con l'agguerritissimo Novara, il 16 e il 20 maggio). 


Resta da capire dove si disputeranno le partite in casa (Treviso? Bibione? Magari Portogruaro..?).

PS. A suo tempo, avevo scommesso con qualcuno la possibilità di assistere ad ipotetiche sfide Portosummaga-Triestina. La grossa incognita era la promozione del Porto. Ora è la permanenza in B della Triestina, in caduta libera da qualche mese a sta parte, che proprio domenica ha cominciato a respirare di nuovo. La davo per spacciata, ora ha qualche possibilità di giocarsela. Sarebbe un vero peccato, se dovesse retrocedere proprio ora... Muahuah!

La torre di legno

[...] And Jesus was a sailor
When he walked upon the water
And he spent a long time watching
From his lonely wooden tower
* [...]

Una delle più belle metafore mai partorite da un cantautore. Semplicemente.

San Marco a campi

Per un veneto, il 25 Aprile non è la festa della liberazione: è San Marco, punto e a capo. Ci mancherebbe. Per un veneto orientaleggiante, il 25 Aprile diventa la Frittata, in casa o fuori casa, con il salame, la cipolla, i carciofi, quello che ti pare, basta che te la mangi.
Ho provato a spulciare la rete per cercare di capire da cosa derivi questa tradizione, ma ho avuto poca fortuna. Chiunque abbia notizie a questo riguardo, mi renderebbe un pò più felice se le volesse condividere con me.
Non ho avuto il coraggio di trascinarmi, in bicicletta, l'attrezzume per celebrare San Marco come si deve. Ho espiato i miei peccati fagocitando un'ottima frittata alla sera, in extremis. Libero da pesi eccessivi, ho girovagato nella campagna chiusa da Lemene e Reghena, sfiorando addirittura il Sanvitese. Non vi dirò dove sta il guado che ho catturato qua sotto, meno gente ci passa più me lo godo, e poi vi ho già aiutato abbastanza. (No, non le ho georeferenziate).

From San Marco 2010

Comunque, Picasa rovina le foto. Di brutto.

Circolo

Mangiare, Dormire, Giocare, tre parole sono forse troppo poche per distillare la vita di un bambino, ma bastano per occhieggiarne una fugace visione, giacché con l'età, come è ben noto, la si dimentica. Mangiare, Dormire, Giocare, cosa ci può essere di meglio, pensa il pargoletto, e non sa che è destinato a soccombere alle legge di natura, che aborre la stasi di una generazione ed è affamata di ricambio, e ben presto farà in lui germogliare un altro bisogno primario, avete già capito, gli dirà, Tu hai goduto del tuo periodo felice, concedi questo privilegio alla tua prole, ed ecco che il bambino cresce e con lui crescono i suoi bisogni, le sue finalità, Mangiare, Dormire, Giocare, Copulare, e vagherà e agirà per buona parte del resto della sua vita in cerca di alleviare i pruriti del basso ventre, mi si perdoni la citazione. E sarà contento del regalo, intendiamoci, non si renderà conto di essere lui stesso un giocattolo nelle mani di Altro, non si sa di cosa, sicuramente non di un dio, e si sollazzerà con esso e attorno vi costruirà palazzi, da solo o con altre mani, e sarà bello. Ma un bel giorno la Natura, così l'abbiamo chiamata all'inizio, leggerà nelle sue guance canute il ricordo dei tempi semplici, e pietosa glieli concederà per l'ultima volta, ed eccolo di nuovo intriso di quella che chiamiamo saggezza dell'età, senza ricordarci che noi stessi ne abbiamo già goduto, Mangiare, Dormire, Giocare, cosa ci può essere di meglio.

Giorgione, Cima e gli altri

La primavera si preannuncia culturale. Cogliendo al balzo le occasioni offerte dai cinquecentenari di alcune morti e nascite illustri (ma non solo), la veneta terra si colora di mostre ed esposizioni come raramente è successo prima d'ora.

Chi si informa nel settore ben sa che da dicembre Castelfranco Veneto celebra il proprio concittadino giustamente più famoso, Giorgioneel Zorzi, con una mostra molto ristretta, complice anche la scarsa produzione dell'artista, ma non per questo non meritevole di una capatina. E' sempre un'emozione come poche (nonché un'occasione da non perdere) poter rimirare, accostati nella stessa stanza, capolavori come l'irraggiunta Tempesta, o le splendide Tre Età, o ancora Il giudizio di Salomone e La prova di Mosé. Io ho già provveduto e ne sono rimasto appagato, chi non ha ancora avuto l'occasione si affretti, la mostra chiude  l'undici aprile.

Giorgione, Le tre età dell'uomo, olio su tela (1500-01).
Firenze, Palazzo Pitti. In mostra a Castelfranco Veneto.

Cima da Conegliano, pur essendo riconosciuto dalla critica di tutti i secoli, giustamente, come una delle punte di diamante della scuola veneta, non ha mai avuto la stessa risonanza che ha investito altri contemporanei quali Giorgione (dopo la morte) o Tiziano. Ed è un peccato, perché nonostante un classicismo di fondo molto più marcato, i colori del Cima, saturi e nitidi ancora dopo 500 anni, a mio personalissimo avviso sono gustosi tanto quanto il tonalismo dei sopraccitati. L'ultima mostra del Cima risale al 1962, vi consiglio di non perdervi quella in corso, incentrata su un interessante percorso sul paesaggio, tema ricorrente dell'artista. Appuntamento a Conegliano Veneto, Palazzo Sarcinelli (restaurato per l'occasione), fino al due giugno.

Cima da Conegliano, Riposo durante la fuga in Egitto con i Santi Giovanni Battista e Lucia, tempera e olio su tavola (1496-98).
Lisbona, Calouste Gulbenkian Museum. In mostra a Conegliano. 

Per il cinquecentenario della nascita di Jacopo da Ponte, detto Jacopo da Bassano, la sua città natale organizza un interessante percorso commemorativo, il cui primo passo è la mostra ospitata al Museo Civico, che chiuderà il tredici giugno. Altro grandissimo nome dell'età d'oro della pittura veneziana, la mostra ripercorre tutta la vita dell'artista nelle sue continue sperimentazioni, dai primi passi ai giochi di luce della maturità. Con il biglietto vi visitate anche Palazzo Sturm, Palazzo Bonaguro e la Torre Civica di Bassano, borgo incantevole ma troppo spesso ignorato.

Jacopo da Bassano, Riposo durante la fuga in Egitto, olio su tela (1547)
Milano, Pinacoteca Ambrosiana. In mostra a Bassano.

Uscendo dalle colline dell'entroterra veneto e dal rinascimento marciano, arriviamo a Rovigo, ultimo baluardo prima del Po, dove a Palazzo Roverella sono esposti alcuni dei capolavori dei mostri sacri del '700 veneto. Non può quindi mancare Tiepolo, affiancato da nomi meno risonanti, ingustamente, a livello mondiale, quali Bortoloni, rodigino (rovigoto!), Piazzetta e Pittoni. Ciliegina sulla torta (veneta), da spiluccare fino al tredici giugno.

Giambattista Pittoni, Diana e le ninfe, olio su tela (1723-1725).
Vicenza, Museo Civico. In mostra a Rovigo.

Per i più intrepidi, traversando i patri confini che seguono Rovigo, si giunge alfin a Ravenna, dove sono di scena gli ottocenteschi preraffaeliti inglesi. Li segnalo perché non é comune che le loro opere passino vicino casa. Non fatevi ingannare dalle pubblicità, specie chi non li ha mai sentiti nominare: si fa di tutto per mettere in primo piano il Beato Angelico e il Perugino, ma di loro v'è solo qualche sparuta opera, aggiunta alla mostra come antipasto, come punta del bagaglio italiano tanto anelato dai preraffaeliti britannici.

Dante Gabriel Rossetti, Dante's Vision of Rachel and Leah, acquerello su carta (1855).
Londra, Tate Gallery. In mostra a Ravenna.

Ultima segnalazione, leggermente fuori tema. Alla biblioteca marciana verranno esposte, fino al cinque aprile, le oselle veneziane. Approfittatene: sicuramente sarà notevole rimirare le oselle, ma sarà ancora più succoso godersi la biblioteca marciana, che apre i battenti al pubblico rarissime volte.

Venezia, Biblioteca Marciana. Sale monumentali.

Giorgione
Museo Casa Giorgione, Castelfranco Veneto (TV)
12.12.2009 - 11.04.2010
http://www.giorgione2010.it

Cima da Conegliano. Poeta del paesaggio
Palazzo Sarcinelli, Conegliano Veneto (TV)
26.02.2010 - 02.06.2010
http://www.cimaconegliano.it


Jacopo Bassano e lo stupendo inganno dell'occhio
Museo Civico, Bassano del Grappa (VI)
06.03.2010 - 13.06.2010
http://www.bassano500.it

Bortoloni Piazzetta Tiepolo: il '700 veneto
Palazzo Roverella, Rovigo (RO)
30.11.2010 - 13.06.2010
http://www.palazzoroverella.com/mostra.php

I preraffaeliti e il sogno italiano. Da Beato Angelico a Perugino, da Rossetti a Burne-Jones
Museo d'arte della città di Ravenna, Ravenna (RA)
28.02.2010 - 06.06.2010
http://www.museocitta.ra.it/mostre/mostre_in_corso/

Oselle veneziane. Il dono dei Dogi
Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia (VE)
07.03.2010 - 05.04.2010
http://marciana.venezia.sbn.it/internal.php?codice=664

NB. I biglietti delle mostre di GiorgioneJacopo da Bassano e Cima da Conegliano sono validi come reciproche riduzioni.

Trieste marciana

Il Gazzettino allega già da due sabati un'enciclopedia, altri dieci volumi venturi, sulla Serenissima Repubblica di Venezia. Oltre ai dovuti elogi per l'ammirevole iniziativa, colgo l'occasione, forte di tale fonte, per confermare una volta per tutte quanto asserito in più occasioni, in presenza di amici e o colleghi triestini: seppur per un breve periodo, Trieste ha esposto il vessillo marciano.
Correva l'anno 1368, dominava Venezia incontrastata l'Adriatico, i genovesi le contendevano il Mediterraneo, e Trieste, non avendo niente di meglio da fare, ben pensò di sterminare nel sonno l'equipaggio di una galea veneziana di pattuglia. La Laguna non tardò a reagire, ignorò i salamelecchi dei triestini, troppo tardi consci di essersi tuffati in un lago di merda, dichiarò guerra e conquistò svogliatamente la cittadina. Sciaf! Uccisa la mosca.

Il nostro vessillo vogliamo sul maaar!

Venezia tenne Trieste per dodici anni. Nel 1379-81, la Serenissima affrontò la prima e ultima invasione, all'interno del Dogado, di tutta la sua millenaria storia; la guerra di Chioggia, in cui i genovesi invasero la laguna, conquistarono la cittadina e assediarono Venezia stessa per oltre un anno, rappresentò la più grande minaccia che la Repubblica dovette mai fronteggiare. Nemmeno la Lega di Cambrai rischiò mai di annientare veramente Venezia.
Gioco facile, in questo contesto, per gli austriaci prendere possesso di Trieste, ai quali essa fece atto di sottomissione. Venezia annaspava a tal punto da richiamare in laguna la flotta del Levante, figurarsi perder tempo per una cittadina di mare allora periferica. Prima di renderla agli austriaci, la Repubblica fece loro pure il piacere di rimaneggiare il castello di San Giusto.
Non mi si venga dunque a ripetere, come già è successo, che mai l'alabarda sia stata spezzata dal leone. E non mi tange il breve periodo: alla fine dei conti, nulla di così importante fu perduto. Sciaf!

Filiberto Savoiardo a Sanremo, as I sensed it

Siii
Stasera sono quiii
Per dir di fronte a Dioooo
Italia, Porco ***

Carnevale di Concordia 2010

Domenica pomeriggio sono stato al Carnevale di Concordia. Ne ho approfittato per tentare qualche foto.
Non è stata una giornata feconda di buoni scatti. Ne salvo solo uno, che riporto in questa sede. Leggermente mosso, e una ciocca tagliata, ma soddisfacente in generale (per i miei livelli).

From Carnevale Concordia 2010

Nuova pubblicità canone RAI

Entra Pippo Baudo a casa mia con un televisore, dentiera da squalo.

- Cosa vorreste dalla RAI quest'anno?
- Cultura e informazione.

Esce tutto mesto, trascinandosi il televisore.

iPad, bella merda

Tutto quanto penso attorno a quella ciofeca di iPad é perfettamente riassunto in questa parodia.


Celentano politologo

Sono fermamente convinto che chiunque abbia un minimo di sale in zucca non possa che ritenere questo intervento di Celentano sul Corriere della Sera una stronzata di abnormi dimensioni.

Ma sorvoliamo su tutto ciò.

Per quale motivo il Corriere della Sera permette a Celentano di dire la sua, sul maggiore quotidiano nazionale, addirittura senza essere parafrasato da giornalista alcuno? L'è un esperto di politica? Posso capire che politici o politologi possano usare la stampa come mezzo di espressione, ovviamente con un bel contraddittorio uguale in dimensione accanto. Celentano, invece, noto opinionista, dalle cui labbra pende l'Italia intera, corsia preferenziale.
Attenzione. Polemizzo indipendentemente dal contenuto della sua lettera: se avesse sostenuto i giudici e il loro lavoro, avrei detto esattamente le stesse cose. E trovo pure giusto che egli possa dare la sua opinione: allo STESSO, IDENTICO, PRECISO modo in cui la devono poter dare TUTTI.

Se scrivo io una lettera al Corriere e chiedo la pubblicazione, i giornalisti della redazione mi accontentano? Col cazzo, la stampano e se la appendono in ufficio per ridere e sputarci ogni volta in cui ci passano davanti. Invece la manda uno che canta e si muove sotto l'effetto di una tarantola, e pronta là, novello opinionista. Ma andate a cagare.


Torna a cantare. Anzi, no.


Ah, a proposito, giusto per ricordare che non siamo assolutamente un paese razzista: tra poco aprirà il primo carcere per trans. Gli alti borghi non dovranno scomodarsi a cercarli nelle zone industriali.

Pesce sacro, pesce buono

Oggi riflettevo con il mio autista.

Il pesce ogni venerdì, e non dimentichiamo le vigilie.

Vi farò pescatori di uomini. Pubblicità occulta. Marchiata nel libro più letto al mondo, sparata a mille in tutte le chiese ogni Santo giorno. (Questa era sottile).

Sputtanamento della carne: i maiali indemoniati che si autoannegano. Il Battista che piuttosto mangia cavallette, peggio dei francesi mangiarane.

L'incantesimo della moltiplicazione.

Ichtys: ησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ (Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr), Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio.

Cristo avrà pure rinnovato il patto di alleanza con gli Uomini, ma comincio a temere che solo i pescivendoli ne abbiano guadagnato qualcosa.


Il pasto povero, di pesce. Viva il venerdì.

Le visioni più folli

Tutti quaaanti, tutti quaaanti, tutti quanti voglion fare jaaazz...

Dove finisce il jazz e inizia la follia? Stefano Bollani viene a spiegarcelo al Russolo, a Portogruaro, ma non ne sembra sicuro nemmeno lui. E allora, la parola agli strumenti.

Relegato in un cantuccio, ma circondato dai suoi folli Visionari, Bollani incanta con chirurgica follia, e anima uno di quei classici concerti che spingono a suonare la gente che non ha mai suonato, e a smettere quelli che lo fanno da una vita, di fronte a palese irraggiungibilità tecnica e interpretativa. Carnevale di Dunquerque, Sicilia, The Hamburg Boogaloo, pezzi nuovi, improvvisazioni, assoli, battaglie di sassofono tenore e sopranino, contrabbasso e clarinetto, pianoforte e una batteria che dovrebbe essere batteria e che invece diventa percussione generica. Divagazioni tra il demenziale e il demenziale. I Visionari colorano un Russolo in delirio.



Roccamare, o meglio: la suite composta, o improvvisata, attorno a Roccamare, é un fulgido esempio di come Bollani, Guerrini e compagnia interpretino il jazz, se veramente vogliamo ancora definirlo come tale. Un pezzo scritto per una scena erotica di un film di Moretti, Caos Calmo. Uno se lo immagina, Bollani, mentre lo compone. Cinque minuti di sensualità deliziosa: il tempo di dimenticarsi di tutto. E cominciano i trip. Digressioni nel progressive, nel rock (i quattro quarti in chiusura di suite non li ho mai sentiti prima d'ora in un pezzo jazz), nell'avant-garde. Strumenti che si dimenticano dei padroni e si perdono. La più dolce delle apocalissi musicali. (Non mi stupisco che la produzione del film abbia cambiato compositore).

Non potevo dimandare nulla di più al primo concerto dell'anno.

E poi c'è gente che si permette di chiamare Allevi un Maestro.

Ritorno di fiamma, con ricevuta

Nello stesso giorno, scopro che i Raccomandata con Ricevuta di Ritorno e i Biglietto per l'Inferno calcano di nuovo le scene (e gli studi) del rock italiano, quello che ha fatto la storia, quel progressive che ancora dopo quarant'anni ci invidiano. Con santa pace di Vasco Rossi. A modo mio, li celebro con uno dei titoli di post più pensati della mia insignificante esistenza di blogger. E meno riusciti, devo concedere.




Per tornare a camminare sulla terra, avrei bisogno di un editoriale di Minzolini.

La visceralità del dialetto

"Ci sono due strati nella personalità di un uomo; sopra le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto. Quando se ne tocca una si sente sprigionarsi una reazione a catena, che è difficile spiegare a chi non ha il dialetto. C'è un nòcciolo indistruttibile di materia apprehended preso coi tralci prensili dei sensi; la parola del dialetto è sempre inchiavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare, e non più sfumata in seguito dato che ci hanno insegnato a ragionare in un'altra lingua. Questo vale soprattutto per i nomi delle cose.
Ma questo nòcciolo di materia primordiale (sia nei nomi che in ogni altra parola) contiene forze incontrollabili proprio perchè esiste in una sfera pre-logica dove le associazioni sono libere e fondamentalmente folli. Il dialetto è dunque per certi versi realtà e per altri versi follia.


Sento quasi un dolore fisico a toccare quei nervi profondi a cui conduce basavéjo e barbastrìjo, ava e anguàna, ma anche solo rùa e pùa. Da tutto sprizza come un lampo-sgiantìzo, si sente il nodo ultimo di quella che chiamiamo la nostra vita, il groppo di materia che non si può schiacciare, il fondo impietrito.
Non dico che questo è il dialetto, ma che nel dialetto c'è questo. So bene che non solo nel dialetto c'è questo, anzi ancor più in quell'altro dialetto degli occhi e degli altri organi del senso, quando il caso o certe disposizioni emotive determinano uno sfasamento tra il mondo delle parole e quello delle cose."

Luigi Meneghello, Libera Nos A Malo, cap. 5. 1963.