Nuova pubblicità canone RAI

Entra Pippo Baudo a casa mia con un televisore, dentiera da squalo.

- Cosa vorreste dalla RAI quest'anno?
- Cultura e informazione.

Esce tutto mesto, trascinandosi il televisore.

iPad, bella merda

Tutto quanto penso attorno a quella ciofeca di iPad é perfettamente riassunto in questa parodia.


Celentano politologo

Sono fermamente convinto che chiunque abbia un minimo di sale in zucca non possa che ritenere questo intervento di Celentano sul Corriere della Sera una stronzata di abnormi dimensioni.

Ma sorvoliamo su tutto ciò.

Per quale motivo il Corriere della Sera permette a Celentano di dire la sua, sul maggiore quotidiano nazionale, addirittura senza essere parafrasato da giornalista alcuno? L'è un esperto di politica? Posso capire che politici o politologi possano usare la stampa come mezzo di espressione, ovviamente con un bel contraddittorio uguale in dimensione accanto. Celentano, invece, noto opinionista, dalle cui labbra pende l'Italia intera, corsia preferenziale.
Attenzione. Polemizzo indipendentemente dal contenuto della sua lettera: se avesse sostenuto i giudici e il loro lavoro, avrei detto esattamente le stesse cose. E trovo pure giusto che egli possa dare la sua opinione: allo STESSO, IDENTICO, PRECISO modo in cui la devono poter dare TUTTI.

Se scrivo io una lettera al Corriere e chiedo la pubblicazione, i giornalisti della redazione mi accontentano? Col cazzo, la stampano e se la appendono in ufficio per ridere e sputarci ogni volta in cui ci passano davanti. Invece la manda uno che canta e si muove sotto l'effetto di una tarantola, e pronta là, novello opinionista. Ma andate a cagare.


Torna a cantare. Anzi, no.


Ah, a proposito, giusto per ricordare che non siamo assolutamente un paese razzista: tra poco aprirà il primo carcere per trans. Gli alti borghi non dovranno scomodarsi a cercarli nelle zone industriali.

Pesce sacro, pesce buono

Oggi riflettevo con il mio autista.

Il pesce ogni venerdì, e non dimentichiamo le vigilie.

Vi farò pescatori di uomini. Pubblicità occulta. Marchiata nel libro più letto al mondo, sparata a mille in tutte le chiese ogni Santo giorno. (Questa era sottile).

Sputtanamento della carne: i maiali indemoniati che si autoannegano. Il Battista che piuttosto mangia cavallette, peggio dei francesi mangiarane.

L'incantesimo della moltiplicazione.

Ichtys: ησοῦς Χριστός Θεoῦ Υιός Σωτήρ (Iesùs CHristòs THeù HYiòs Sotèr), Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio.

Cristo avrà pure rinnovato il patto di alleanza con gli Uomini, ma comincio a temere che solo i pescivendoli ne abbiano guadagnato qualcosa.


Il pasto povero, di pesce. Viva il venerdì.

Le visioni più folli

Tutti quaaanti, tutti quaaanti, tutti quanti voglion fare jaaazz...

Dove finisce il jazz e inizia la follia? Stefano Bollani viene a spiegarcelo al Russolo, a Portogruaro, ma non ne sembra sicuro nemmeno lui. E allora, la parola agli strumenti.

Relegato in un cantuccio, ma circondato dai suoi folli Visionari, Bollani incanta con chirurgica follia, e anima uno di quei classici concerti che spingono a suonare la gente che non ha mai suonato, e a smettere quelli che lo fanno da una vita, di fronte a palese irraggiungibilità tecnica e interpretativa. Carnevale di Dunquerque, Sicilia, The Hamburg Boogaloo, pezzi nuovi, improvvisazioni, assoli, battaglie di sassofono tenore e sopranino, contrabbasso e clarinetto, pianoforte e una batteria che dovrebbe essere batteria e che invece diventa percussione generica. Divagazioni tra il demenziale e il demenziale. I Visionari colorano un Russolo in delirio.



Roccamare, o meglio: la suite composta, o improvvisata, attorno a Roccamare, é un fulgido esempio di come Bollani, Guerrini e compagnia interpretino il jazz, se veramente vogliamo ancora definirlo come tale. Un pezzo scritto per una scena erotica di un film di Moretti, Caos Calmo. Uno se lo immagina, Bollani, mentre lo compone. Cinque minuti di sensualità deliziosa: il tempo di dimenticarsi di tutto. E cominciano i trip. Digressioni nel progressive, nel rock (i quattro quarti in chiusura di suite non li ho mai sentiti prima d'ora in un pezzo jazz), nell'avant-garde. Strumenti che si dimenticano dei padroni e si perdono. La più dolce delle apocalissi musicali. (Non mi stupisco che la produzione del film abbia cambiato compositore).

Non potevo dimandare nulla di più al primo concerto dell'anno.

E poi c'è gente che si permette di chiamare Allevi un Maestro.

Ritorno di fiamma, con ricevuta

Nello stesso giorno, scopro che i Raccomandata con Ricevuta di Ritorno e i Biglietto per l'Inferno calcano di nuovo le scene (e gli studi) del rock italiano, quello che ha fatto la storia, quel progressive che ancora dopo quarant'anni ci invidiano. Con santa pace di Vasco Rossi. A modo mio, li celebro con uno dei titoli di post più pensati della mia insignificante esistenza di blogger. E meno riusciti, devo concedere.




Per tornare a camminare sulla terra, avrei bisogno di un editoriale di Minzolini.

La visceralità del dialetto

"Ci sono due strati nella personalità di un uomo; sopra le ferite superficiali, in italiano, in francese, in latino; sotto le ferite antiche che rimarginandosi hanno fatto queste croste delle parole in dialetto. Quando se ne tocca una si sente sprigionarsi una reazione a catena, che è difficile spiegare a chi non ha il dialetto. C'è un nòcciolo indistruttibile di materia apprehended preso coi tralci prensili dei sensi; la parola del dialetto è sempre inchiavicchiata alla realtà, per la ragione che è la cosa stessa, appercepita prima che imparassimo a ragionare, e non più sfumata in seguito dato che ci hanno insegnato a ragionare in un'altra lingua. Questo vale soprattutto per i nomi delle cose.
Ma questo nòcciolo di materia primordiale (sia nei nomi che in ogni altra parola) contiene forze incontrollabili proprio perchè esiste in una sfera pre-logica dove le associazioni sono libere e fondamentalmente folli. Il dialetto è dunque per certi versi realtà e per altri versi follia.


Sento quasi un dolore fisico a toccare quei nervi profondi a cui conduce basavéjo e barbastrìjo, ava e anguàna, ma anche solo rùa e pùa. Da tutto sprizza come un lampo-sgiantìzo, si sente il nodo ultimo di quella che chiamiamo la nostra vita, il groppo di materia che non si può schiacciare, il fondo impietrito.
Non dico che questo è il dialetto, ma che nel dialetto c'è questo. So bene che non solo nel dialetto c'è questo, anzi ancor più in quell'altro dialetto degli occhi e degli altri organi del senso, quando il caso o certe disposizioni emotive determinano uno sfasamento tra il mondo delle parole e quello delle cose."

Luigi Meneghello, Libera Nos A Malo, cap. 5. 1963.