Selezione di nostalgie

I primi tepori primaverili mi ricordano sempre gli anni delle superiori. Nessuna nostalgia dei banchi di scuola; piuttosto, degli eterni tragitti in bicicletta. Pungenti nell'umida mattina, immersi negli ultimi vapori del Lemene, illuminati da un chiarore sempre più persuasivo; frenetici all'ora di pranzo, contagiati dall'entusiamo del pieno giorno, persi in torrente liberatorio di scemenze, non so se riesco a ritrarci bene, me, Nico, qualche volta il Dende, o il Gazz, non mi ricordo altri.
Caesar III ci ha unito più della scuola. Quante ore passate insieme a casa di qualcuno, con la pallida scusa dello studio combinato; la grassona del mercato lamentosa per la mancanza di cibo, il sacerdote scheletrico per quella di lavoratori. L'informatica era ancora un'entità poco conosciuta; invidiavo il Pentium II del Dende, che caricava il gioco in pochi secondi. La mancanza di musiche, che sarebbero giunte, le palme del deserto, il grano che cresceva a vista, le legioni, gli acquedotti, le navi, gli dei, tutto questo era poesia e non lo sapevo.

Oggi guardo con un mesto sorriso ad un gioco e ad una bici già ormai di altri tempi. Quello che sono stati, in un certo senso, per me dura ancora.

Come Trenitalia vede il Veneto Orientale

Venerdì 25 marzo 2011, ore 18.49.

"Siamo in arrivo a Portogruaro-Caorle. Ci scusiamo per il disagio."

Ma vaffanculo.

Sleeping beauty (in Frassine)

"[..] Allora il Re e la Regina, quand'ebbero baciata la loro figliuola, senza che si svegliasse, uscirono dal castello, e fecero bandire che nessuno si fosse avvicinato a quei pressi. E la proibizione non era nemmeno necessaria, perché in meno d'un quarto d'ora crebbe, lì dintorno al parco, una quantità straordinaria di alberi, di arbusti, di sterpi e di pruneti, così intrecciati fra loro, che non c'era pericolo che uomo o animale potesse passarvi attraverso. [...]"

da La bella addormentata nel bosco, Charles Perrault, 1697. Trad. Carlo Collodi, 1875.

From Roveto Frassine

Canon EOS 450D con Sigma 10-20mm F4-5.6 EX DC HSM @20mm; 1/400 sec, f/8.0; ISO 200.

Della scrittura di blog

Non voglio dare consigli su come si scriva un blog; la rete è già zeppa di regole, buone o cattive, perchè io ne aggiunga altre. Solo, una manciata di osservazioni dalla mia discreta esperienza.
Scrivere dovrebbe essere un piacere; questo dovrebbe far crollare qualsiasi inquadramento. Vero è che un blog, per sua natura, tende verso stili semplici, chiari, di effetto; ciò nonostante, un blogger è libero di fare (e scrivere) quello che gli pare: post biblici, abuso del vocabolario, pubblicazioni rade, impaginazione scoordinata. Che piaccia o meno alla gente, dovrebbe essere insignificante. Io tendo a seguire le regole che mi piacciono: post di media lunghezza, giustificati, una o due immagini correlate, stile informale. Questo non mi vieta di uscire dagli schemi quando ne ho voglia: post senza foto o formali (Canti della Gilda), citazioni che trovo interessanti o piacevoli, rielaborazione di stili o temi famosi per il mio diletto (Borges e il fantastico, la nuda ipotassi di Saramago). 
Non si dovrebbe mai scartare quanto si è scritto. Il continuo esercizio dà i suoi frutti: rileggere il proprio blog nel tempo permette di cogliere la propria evoluzione come blogger. Io pubblico sempre ogni cosa che scrivo; di molti post quasi mi vergogno, per contenuti o forma; di alcuni sono ancora piuttosto soddisfatto. Con il passare del tempo, gli uni lasceranno il passo agli altri.
Finale. Lambiccarsi le cervella dà frutti mediocri: se non si ha nulla, o poco, da dire, è meglio deporre la penna (la tastiera). Curiosamente, i post che apprezzo maggiormente sono partoriti di getto.
Tutto ciò dovrebbe valere, nella mia modesta opinione, per blog personali; tralascio volutamente quelli settoriali o condivisi.

Brussa invernale

L'inverno si è spento in odore di primavera; quale occasione migliore per salutarlo con qualche scatto pomeridiano in Brussa, con amici e consorti. Per tutte le foto, ho leggermente diminuito la saturazione in fase di acquisizione. Nessun post-processing.


Canon EOS 450D con Sigma 10-20mm F4-5.6 EX DC HSM @10mm; 1/500 sec, f/8.0; ISO 100.


Canon EOS 450D con Canon EF-S 55-250mm f/4-5.6 IS @171mm; 1/1000 sec, f/8.0; ISO 100.


Canon EOS 450D con Canon EF-S 55-250mm f/4-5.6 IS @123mm; 1/640 sec, f/8.0; ISO 100.


Canon EOS 450D con Sigma 10-20mm F4-5.6 EX DC HSM @10mm; 1/125 sec, f/22.0; ISO 100.

Un pallido punto blu

A proposito di guerre, nucleare e altre cagate.

"[...] Da questo distante e vantaggioso punto di vista, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti quelli che amate, tutti quelli di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e suddito, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì su un minuscolo granello di polvere sospeso dentro ad un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica.


Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine impartite dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti i loro malintesi, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto ferventi i loro odi. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è nessuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi.

La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c'è nessun altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Abitare, non ancora.

Che vi piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto. [...]"

da Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space. Carl Sagan, 1994.

11 - Il Pescatore

Il Pescatore non entrò mai nella Gilda, sempre troppo lontana dal mare a lui caro. Aveva egli infatti prestato fedeltà ad una Confraternita amica; ma sovente non disdegnava di accompagnare i nostri Confratelli nelle loro imprese. Immortali sono i canti che ne celebrano la lunghe e perigliose spedizioni compiute assieme: l'Assalto alla Città Boema, oltre le Montagne di Confine; o la scoperta delle Colline Amene, al di là dell'Ultimo Fiume; e molte altre.
Grande competenza egli poteva vantare nella sua Arte. Comandava al mare, e a tutti i liquidi: con facilità riusciva a plasmare le onde, o inaridire piscine colme di birra. Tanto potere gli valse la diffidenza dei pescatori sui simili, nonchè degli osti; egli viveva quindi immerso nei Campi Gaetani, che sfamavano la città-isola di Caprula, sua patria. L'esodo volontario inasprì la verso lui diffidenza, e spinse la sua gente a ribattezzarlo il Rinnegato; tuttavia egli non dava mostra di curarsi di ciò, e coltivava apparentemente felice la terra. Ma in segreto molto se ne addolorava, chè sfrenato era il suo amore per la sua Arte Originale; e in ogni momento avrebbe voluto riabbracciare il mare.
Fu anche per questa distanza che visse a lungo nella Città Innominabile, che insozzava il Mare Nostrum al suo limite; il Ladro, l'unica sua compagnia. In questo periodo apprese la malefica Magia Tensionica; ma tanta virtù impregnava il suo animo, chè mai la impiegò per tramortire le proprie prede, che si canti di pesci, di maiali o di ancelle: e mai si è cantata probità più pura.

Divertimento sull'Eterno Ritorno

Torno un'ultima volta gli argomenti toccati in questo post e in quest'altro
Chi conosce Nietzsche avrà riconosciuto qualche stralcio della dottrina dell'Eterno Ritorno. Tralascio le oscure parole scolpite ne La Gaia Scienza e Così Parlò Zarathustra, e riporto quelle chiare e matematiche presenti nei Frammenti Postumi: "il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di questa forza [il cosmo, ndAle] è certamente immane e in sostanza “non misurabile”; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito [...]. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all’indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre."
Curiosamente, Borges confuta questa visione, che fu vedica (Saṃsāra) e platonica, prima che nietzschiana. Ne La Dottrina dei Cicli (da La Storia dell'Eternità, 1935), chiamando in causa Cantor, suppone che lo spazio sia infinito, come il tempo; in un metro ci sono tanti punti quanto in tutto l'Universo; cade l'ipotesi di finitezza, cede l'Eterno Ritorno (ci saranno infinite combinazioni; le ripetizioni sono ridotte a probabilità quasi nulle).


 L'argomento non mi convince del tutto; mi ricorda Zenone e i suoi paradossi spaziali. Mi convince, invece, il trucco per rompere la ciclicità, per slegare l'Uroboro: estendere l'infinito al di fuori del tempo. Una prima soluzione, acerba: nell'istante x, penso al numero naturale n. Nel ciclo successivo, all'istante x, penso ad n+1. I numeri naturali sono infiniti; ho dunque infiniti cicli: non ne ripeterò mai alcuno. 
L'argomento cade, perché la finitezza rispunta vivace: la mia vita, in un ciclo, è finita: dopo incommensurabili cicli, n è talmente grande che esaurisco la mia vita pensando ad esso; n+1 non può essere pensato, perché pensarlo richiede più del tempo concessomi. La soluzione è molto meno intricata. Suppongo che in uno qualsiasi dei cicli del tempo venga scoperta la ricetta per mantenere vivo un corpo ed una mente per un periodo lungo a piacere (supporre l'Eterno Ritorno concede di immaginarlo); in questo ciclo, e in tutti quelli simili, posso pensare numeri finiti e incommensurabili; la confutazione cade nuovamente. 
Ultimo passo: semplifichiamo ancora. In alcuni dei cicli, posso decidere la data della mia morte, per quanto appena detto; in molti di essi, non decido mai di morire, ma muoio per altre cause esterne; in uno, non decido mai di morire, e nessuna causa esterna mi uccide. Sono immortale e accompagno il tempo nella sua infinitezza: il ciclo è infinito perché vi appartengo. Il ciclo successivo non arriverà mai.


Nota. Non ho né le competenze, né la capacità per discutere di filosofia a livelli soddisfacenti. Oltretutto, mi stanco presto; si potrebbe obiettare in molti modi alle mie conclusioni (infinità dello spazio, Cantor e i diversi livelli di infinito, cicli periodici vissuti più volte dall'essere immortale...). Leggete queste righe per quello che sono: un mero divertimento. Non escludo che in futurò continuerò a lambiccarmi le cervella.

Una quercia vetusta

Il due novembre scorso ho fotografato la farnia di Villanova Sant'Antonio, vicino Portogruaro. Quest'albero era già antico quando Giordano Bruno bruciò in Campo dei Fiori e Henry Hudson trovò la morte sfidando il passaggio a Nord-Ovest; cicatrici istoriano il tronco severo, dono dei secoli vinti. La giornata tetra e suggestiva, per la ricorrenza e per il tempo metereologico, ha solo reso più inquietante e intrigante il momento dello scatto. Mi è parsa obbligatoria la monocromia.

From Farnia di Villanova

Canon EOS 450D con Sigma 10-20mm @10mm; 1/160 sec, f/8.0; ISO 200.

Tributo necessario

Dopo aver scritto questo post, ho fatto penitenza rileggendo un paio di poesie di Borges, che enunciano gli stessi concetti in uno scarno mucchietto di versi inarrivabili. Poenitentiam ago.

[...] Chi si bagna in un fiume si bagna nel Gange.
Chi guarda una clessidra vede la dissoluzione di un impero.
Chi maneggia un pugnale prevede la morte di Cesare.
Chi dorme è tutti gli uomini.
Ho visto nel deserto la giovane Sfinge appena scolpita.
Non c'è nulla di antico sotto il sole.
Tutto accade per la prima volta, ma in un modo eterno.
Chi legge le mie parole sta inventandole.

da La Felicità, vv. 18-25. La Cifra, 1981.

Una gran cavallona

Non vedo l'ora che Google Analytics mi dica in quanti hanno googlato "cavallona" e aperto questo post.

In agosto ho gironzolato per Cadore e dintorni, racimolando qualche soddisfazione fotografica. L'equino (equina?) qui sotto è stato molto gentile: è rimasto in posa per molti minuti. Se lo scatto mi soddisfa, gran parte del merito va a lei (lui?). (La zampetta posteriore è spettacolare.)

From Val Visdende - Agosto 2011

Canon EOS 450D con 55-250mm @96mm; 1/100 sec, f/5.0, ISO 200.

Fantasie necessarie

Da qualche scritto di Borges ho recuperato la seguente immagine di Nāgārjuna: Se ci fossero tanti Gange quanti granelli d’arena ci sono nel Gange e poi tanti Gange quanti granelli d’arena nei nuovi Gange, il numero dei granelli d’arena sarebbe inferiore al numero delle cose che il Buddha ignora. Quanta conoscenza sfugge ogni istante? Concentrarsi su un simbolo in un dato momento significa ignorarne un numero quasi infinito. Una goccia d'acqua cade nel palmo aperto della mia mano: innumerevoli altre non vi cadranno
e innumerevoli cadranno nascoste ad occhi avidi
e nessuno tramanderà il loro suono.

 * * *

Quella singola goccia, con la sua intricata genealogia, postula l'Universo. Simboli lontani si sono intrecciati per lenti milioni di anni
e una scimmia ha mosso il primo incerto passo
e in una stanza buia una madre ha generato un figlio che sarà Annibale e Attila e Napoleone
perché ora quella goccia d'acqua punga la mia mano.

* * *

L'Universo è un'albero, un mosaico inconcepibile nella sua vertigine, e quella goccia è una foglia, una tessera, che lo racchiude; la foglia diventa ramo, sulla tessera poggiano altre tessere, in una danza perfetta e inevitabile. Un giorno un uomo riderà abbracciando una donna
e un fiore sboccerà in Irlanda
e tutto il futurò sarà necessario
perchè una goccia di pioggia ha bagnato il mio palmo e ha ispirato queste righe.

* * *
L'albero, o mosaico, è infinito; non è verosimile una radice o una tessera prima. La sua espansione è continua e inconcepibile: non è sbagliato supporre trame periodiche, o quasi. Scrivo queste righe che sono già state scritte e che lo saranno nuovamente
e in qualche eone non cadrò dalla bicicletta in un giorno di luglio
e in altri non giocherò con un gatto sulla riva di un fiume
e in infiniti che ignoro non farò, o non ho fatto, entrambe le cose.


Aggiunta. L'abuso di Borges è volontario. Egli sapeva di contribuire all'intricata entropia dell'Universo, di far vibrare i sottili filamenti che lo sostengono; scrisse anche perché un giorno di inverno, o molti, una figura di un'altro emisfero lo leggesse e concepisse queste fantasie, che lo plagiano e si condannano.