Amo la musica classica, qualsiasi cosa si intenda con un termine così vago; l'attrazione è di vecchia data: indossavo un grembiule nero quando ascoltai per la prima volta l'Italiana di Mendelssohn. Da sempre mi accompagna qualche debole: il violoncello greve, la rassegnata viola, l'arpa eterea. Per lungo tempo il pianoforte non mi ha mai raggiunto, con l'unica eccezione del Piano Concerto n. 21 di Mozart; Alessandro Taverna è stata la mia conversione definitiva.
Ho conosciuto Alessandro prima di vederlo di fronte allo strumento; galeotte furono le Olimpiadi della Matematica, ai tempi del liceo. Ancora oggi mi spiazza ascoltare la sua voce compita, sul palco, abituato ad un tono più informale; ignoro se egli conosca il proprio doppio registro.
I settori musicali di cui mi reputo, non senza boria, competente, sono ben distanti; le discussioni tecniche sull'argomento sono quindi per altre fonti. Io sono solo un semplice auditore, e come tale vado ad impressioni; mi permetto di scrivere queste righe, perché ancora convinto che ogni plauso, per quanto piccolo, muova un artista.
Provo sempre timore ad elogiare una persona che conosco, per quanto meritevole; temo di suonare, anche se magari solo alle mie orecchie, poco oggettivo. Userò quindi una sentenza non mia: Siamo di fronte ad una grande storia d'amore; egli ama i tasti, e i tasti amano lui. Non ho ancora trovato un grappolo di parole che lo dipingano meglio.
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