L'aspirazione al bello, nelle sue accezioni più varie (benessere, piacere, comodità, vantaggio, avvenenza), muove il mondo dalla sua nascita. La selezione naturale, ciclicamente, ne delinea i profili (Il più adatto è il più bello); la natura stessa la introduce e l'umanità, figlia degenere, la corrompe.
Gli Egizi per primi sfalsano la realtà e cominciano a truccarsi; i Greci continuano la tradizione e riformulano il macroconcetto (Kalòs kagathòs, bello e buono: Efialte è deforme e tradisce Leonida). Il progresso incentiva la corsa allo sfalsamento, la competizione naturale resa superflua. L'aspirazione al bello tuttavia persiste e trova due valvole di sfogo: la plasmatura di tutto ciò che è individuo; e quella di tutto ciò che non lo è. La prima non ha nome; la seconda si chiama arte e spesso sconfina nella sorella.
Quella corsa verso il miglioramento di se stessi segue una propria strada e influenza l'arte in seconda battuta. La millenaria e monotona tradizione cosmetica, al giorno d'oggi, sta violentemente lasciando il posto alle nuove chimere; volgarmente, chirurgia plastica nel passato prossimo, e realtà virtuale nel presente. Gli strumenti si adattano all'ambiente. La scoperta del metallo ha concesso l'aratro e la spada; in giorni digitali, dove il social networking snatura il concetto di amicizia - fondamentale alla sopravvivenza in passato - Photoshop è lo strumento sovrano e lentamente scalza i precedenti.
L'appiattimento sarà ancora più forzato nel futuro lontano; non è sbagliato presupporre, dato un sufficiente lasco temporale, un avanzamento tecnologico notevole. Ora la persona è sviscerata digitalmente; prossimamente sarà plasmata dal nulla. E' lecito pensare a persone, politici, attori completamente digitali; l'arte finalmente si fonderà alla ricerca del bello per non staccarsene più, e con lei morirà, in maniera definitiva, la relazione sociale fisica.
Le conclusioni dipinte sono presumibilmente false, ma è possibile leggervi in essa stracci isolati di verità. L'aberrazione che si può provare è insignificante. Un contadino medioevale troverebbe aberrante il nostro mondo, come noi consideriamo vuoto il suo; è ragionevole supporre che, tra centinaia di anni, noi saremo vuoti agli occhi di chi noi penseremmo come aberranti.
Gli Egizi per primi sfalsano la realtà e cominciano a truccarsi; i Greci continuano la tradizione e riformulano il macroconcetto (Kalòs kagathòs, bello e buono: Efialte è deforme e tradisce Leonida). Il progresso incentiva la corsa allo sfalsamento, la competizione naturale resa superflua. L'aspirazione al bello tuttavia persiste e trova due valvole di sfogo: la plasmatura di tutto ciò che è individuo; e quella di tutto ciò che non lo è. La prima non ha nome; la seconda si chiama arte e spesso sconfina nella sorella.
Quella corsa verso il miglioramento di se stessi segue una propria strada e influenza l'arte in seconda battuta. La millenaria e monotona tradizione cosmetica, al giorno d'oggi, sta violentemente lasciando il posto alle nuove chimere; volgarmente, chirurgia plastica nel passato prossimo, e realtà virtuale nel presente. Gli strumenti si adattano all'ambiente. La scoperta del metallo ha concesso l'aratro e la spada; in giorni digitali, dove il social networking snatura il concetto di amicizia - fondamentale alla sopravvivenza in passato - Photoshop è lo strumento sovrano e lentamente scalza i precedenti.
L'appiattimento sarà ancora più forzato nel futuro lontano; non è sbagliato presupporre, dato un sufficiente lasco temporale, un avanzamento tecnologico notevole. Ora la persona è sviscerata digitalmente; prossimamente sarà plasmata dal nulla. E' lecito pensare a persone, politici, attori completamente digitali; l'arte finalmente si fonderà alla ricerca del bello per non staccarsene più, e con lei morirà, in maniera definitiva, la relazione sociale fisica.
Le conclusioni dipinte sono presumibilmente false, ma è possibile leggervi in essa stracci isolati di verità. L'aberrazione che si può provare è insignificante. Un contadino medioevale troverebbe aberrante il nostro mondo, come noi consideriamo vuoto il suo; è ragionevole supporre che, tra centinaia di anni, noi saremo vuoti agli occhi di chi noi penseremmo come aberranti.
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