Spaccati veneziani

Non è comune, per la gente normale, visitare Venezia più di una volta nella vita; lo è per i fortunati che vi abitano vicino. A chiunque voglia evitare percorsi canonici in mezzo alla folla di giapponesi, spagnoli e americani, infestanti come la menta, consiglio, una volta tanto, di lasciare ad altri occhi Rialto, piazza San Marco e Accademia e di avventurarsi nelle più silenziose calli del sestiere Castello, fino alle porte di Palazzo Querini Stampalia.
E' noto come Venezia sia un museo a cielo aperto; un palazzo del genere, in un luogo leggendario, passa quasi inosservato. Qualsiasi altra città lo citerebbe tra i monumenti più importanti: la famiglia Querini era tra le più antiche e ricche di storia tra quelle veneziane. Gli occhi dei primi hanno visto nascere la Serenissima stessa; le mani dell'ultimo hanno donato all'umanità l'immenso tesoro artistico accumulato durante secoli di storia.
Tra i tanti Bellini, Palma (il Vecchio e il Giovane), Tiepolo, Longhi e Ricci (Marco e Sebastiano), mi ha incuriosito più d'altro il ciclo di Gabriel Bella. Il nome non evoca opere indimenticabili; più artigiano che pittore d'elite, il Bella ha dipinto su commissione una settantina abbondante di quadri che indagano una realtà veneziana lanciata verso la propria estinzione (tutti i quadri del ciclo sono databili attorno al penultimo decennio del diciottesimo secolo). Non si studia certo a scuola la vita sociale di un veneziano del periodo; consiglio una sosta prolungata in queste stanze, senza ovviamente trascurare il resto. La grande quantità di feste organizzate nei campi, addirittura a pagamento; la crudeltà di certi giochi con gatti, orsi od oche (sapere che erano diffusi in tutta Europa non allevia il fastidio); la licenziosità vigente, visti i corsi (sfilate) di cortigiane in gondola; l'ironia tutta moderna della visita delle novizie (le spose novelle) alle parenti-zittelle, costrette dall'età avanzata alla clausura in convento, per renderle edotte della felice novità; l'assenza di lutto ai funerali del doge, perché muore l'uomo, non la Signoria; tutto questo inonda Venezia di una luce più vera, togliendole la patina da vetrina che tanti amano guardare superficialmente.

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