Tre volte Randolph Carter sognò la meravigliosa città, e tre volte venne portato via mentre si trovava ancora sull'alta terrazza che la dominava.
Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con le sue mura, i templi, i colonnati e i ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto prismatico su ampi piazzali e giardini odorosi, e larghe strade passavano tra alberi delicati, urne ornate di boccioli e statue d'avorio disposte in file lucenti. Su vertiginosi strapiombi, rivolte verso nord, si arrampicava invece una lunga serie di tetti rossi, e antichi frontoni aguzzi si susseguivano lungo stradine erbose coperte da ciottoli.
Era un vero delirio di dèi, una fanfara di trombe soprannaturali, e un risuonare di cimbali ultraterreni. La circondava il mistero, così come le nuvole si raccolgono intorno ad un favolosa montagno inviolata.
Mentre Carter rimaneva senza fiato e in trepidante attesa su quel parapetto circondato da una balaustra, fu sopraffatto dalla pienezza e dall'ansia di un ricordo quasi svanito, dal dolore di cose perdute, e dal bisogno ossessionante di ricordare di nuovo quello che una volta era stato un luogo veramente terribile.
Sapeva che il suo significato una volta doveva essere stato estremamente importante per lui, anche se non sapeva dire in quale epoca remota o incarnazione l'avesse conosciuto, e neppure se fosse stato in sogno o da sveglio.
Richiamò alla memoria vaghi frammenti di una lontana giovinezza ormai tramontata, quando lo stupore e il divertimento erano racchiusi nello svolgersi delle giornate, e l'alba e il tramonto arrivavano, ricchi di aspettative e a grandi passi, al suono appassionato di canti e di liuti, schiudendo maestosi cancelli su ulteriori e soprendenti meraviglie.
Ma, ogni notte che trascorreva su quell'alta terrazza di marmo con le sue strane urne e il parapetto adorno di fregi, e volgeva lo sguardo su quella città carica di bellezza e di immanenza ultraterrene immersa nel placido tramonto, percepiva il dominio dei tirannici dèi del Sogno. Infatti, non poteva in alcun modo lasciare quell'alto spazio, nè scendere da quella scalinata di marmo e lasciarsi andare in una caduta senza fine là dove si aprivano quelle strade piene di antichi sortilegi che lo attiravano prepotentemente.
Quando si svegliò per la terza volta su quella scalinata che non aveva ancora disceso e su quelle strade immerse nel tramonto non ancora attraversate, pregò a lungo e con fervore gli dèi del Sogno che meditano nascosti sulle nuvole sullo sconosciuto Kadath, nel gelido deserto in cui nessun uomo osa avventurarsi.
Riluceva, dorata e splendida nel tramonto, con le sue mura, i templi, i colonnati e i ponti ad arco di marmo venato, mentre fontane d'argento zampillavano con un effetto prismatico su ampi piazzali e giardini odorosi, e larghe strade passavano tra alberi delicati, urne ornate di boccioli e statue d'avorio disposte in file lucenti. Su vertiginosi strapiombi, rivolte verso nord, si arrampicava invece una lunga serie di tetti rossi, e antichi frontoni aguzzi si susseguivano lungo stradine erbose coperte da ciottoli.
Era un vero delirio di dèi, una fanfara di trombe soprannaturali, e un risuonare di cimbali ultraterreni. La circondava il mistero, così come le nuvole si raccolgono intorno ad un favolosa montagno inviolata.
Mentre Carter rimaneva senza fiato e in trepidante attesa su quel parapetto circondato da una balaustra, fu sopraffatto dalla pienezza e dall'ansia di un ricordo quasi svanito, dal dolore di cose perdute, e dal bisogno ossessionante di ricordare di nuovo quello che una volta era stato un luogo veramente terribile.
Sapeva che il suo significato una volta doveva essere stato estremamente importante per lui, anche se non sapeva dire in quale epoca remota o incarnazione l'avesse conosciuto, e neppure se fosse stato in sogno o da sveglio.
Richiamò alla memoria vaghi frammenti di una lontana giovinezza ormai tramontata, quando lo stupore e il divertimento erano racchiusi nello svolgersi delle giornate, e l'alba e il tramonto arrivavano, ricchi di aspettative e a grandi passi, al suono appassionato di canti e di liuti, schiudendo maestosi cancelli su ulteriori e soprendenti meraviglie.
Ma, ogni notte che trascorreva su quell'alta terrazza di marmo con le sue strane urne e il parapetto adorno di fregi, e volgeva lo sguardo su quella città carica di bellezza e di immanenza ultraterrene immersa nel placido tramonto, percepiva il dominio dei tirannici dèi del Sogno. Infatti, non poteva in alcun modo lasciare quell'alto spazio, nè scendere da quella scalinata di marmo e lasciarsi andare in una caduta senza fine là dove si aprivano quelle strade piene di antichi sortilegi che lo attiravano prepotentemente.
Quando si svegliò per la terza volta su quella scalinata che non aveva ancora disceso e su quelle strade immerse nel tramonto non ancora attraversate, pregò a lungo e con fervore gli dèi del Sogno che meditano nascosti sulle nuvole sullo sconosciuto Kadath, nel gelido deserto in cui nessun uomo osa avventurarsi.
da H.P. Lovecraft, La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, 1927.
1 commenti:
in assoluto uno dei miei libri preferiti....
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