Avevo promesso Neruda; e Neruda sia. Non penso proprio che un personaggio di tal levatura e fama abbia bisogno delle mie presentazioni; ricordiamo, giusto per scrupolo, che egli è stato una delle più importanti figure letterarie cilene (paese, il Cile, che ha dato i natali a tanti altri giganti, quali Gabriela Mistral, Luis Sepulveda e Isabel Allende, tanto per citare i più famosi) e che è stato insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1971.
Lo stile di Neruda è talmente vivido da sollevarsi dalla carta, talmente diretto da risultare violento e sanguigno, sia che egli stia cantando la propria amata (leggetevi Corpo di Donna, si trova facilmente in rete), sia che stia affrontando tematiche propriamente più crude ([la morte] lecca la terra cercando i morti è tuttora l'immagine poetica che più mi sconvolge. Estratto da Solo la morte). E' innegabile, comunque, che il mio amore per Neruda sia stato alimentato dalla traduzione a cui ho sempre fatto riferimento, opera di quel gigante italiano che risponde al nome di Salvatore Quasimodo. Devo assolutamente sbrigarmi ad imparare lo spagnolo, di modo da apprezzare Neruda (e Borges) in lingua originale.
...E in minima parte, anche per cantare le canzoni dei Tierra Santa senza storpiarle. Quiero volver a escuchar el canto de vientooo, quiero poder respirar su aroma una vez máaas... Ops, scusate la digressione.
Torniamo a bomba. I versi che propongo in questa sede sono l'incipit di una celeberrima ode che Neruda ha scritto in memoria di Federico Garcia Lorca (nella foto). Per i non addetti ai lavori, quest'ultimo era un poeta e drammaturgo spagnolo, uno dei più fervidi intellettuali di inizio novecento, assassinato per le proprie idee politiche (e presumibilmente, anche per le proprie inclinazioni sessuali) durante la guerra civile spagnola, più precisamente nel 1936. Le pennellate che Neruda gli dedica sono dolci e e graffianti allo stesso tempo; assaporatene ogni singola immagine. Consigliata, ovviamente, la lettura integrale a tutti gli interessati, qui sotto non riporto il componimento intero perché è piuttosto importante come dimensioni. Traduzione di Salvatore Quasimodo.
Se potessi piangere di paura in una casa solitaria,
se potessi cavarmi gli occhi e divorarli,
lo farei per la tua voce d'arancio in lutto
e per la tua poesia che esce come un grido.
Perché dipingono per te di azzurro gli ospedali
e crescono le scuole e i rioni del porto,
e si popolano di piume gli angeli feriti,
e i pesci nuziali si coprono di squame,
e volano verso il cielo i ricci del mare:
per te le sartorie con le nere membrane
si riempiono di cucchiai e di sangue,
e ingoiano i nastri rotti, e si uccidono di baci,
e si vestono di bianco.
Quando voli vestito di pesco,
quando ridi con risa di riso preso d'uragano,
quando per cantare scuoti le arterie e i denti,
la gola e le dita,
vorrei morire tanto dolce tu sei. [...]
Pablo Neruda, Ode per Federico Garcia Lorca, 1-18.
La prossima volta proporrò altri versi, in cui emergerà un Neruda più socialmente impegnato, ma non per questo meno saturo di immagini.
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