10 - Epilogo

La Gilda dovette affrontare molte insidie, ma ne uscì sempre indenne, fintanto che il Mondo l’ha cantata. Il pericolo maggiore fu certamente la malvagia Spia, che per un certo tempo tentò e ottenne di entrare nella Gilda, per carpirne subdolamente i segreti. Alla fine, fu la propria essenza corrotta e bugiarda a smascherarlo e a consumarlo dall’interno; narrano le leggende che ancora oggi bruci in eterno, abbracciato al proprio Fratello nella malvagità.
In tempi di pace, la Gilda era dedita al ludo. Le spiagge marciane spesso accoglievano le sapienti lezioni nel giuoco della PallaSabbia, nel quale tutti eccellevano. La Locanda delle Tre Fate ospitò spesso la Gilda, e in essa scorsero fiumi di argomentazioni e di sidro. Di quel luogo leggendario oggi rimane solo uno spettro, a causa delle recenti invasioni dall’Oriente Estremo.
Cosa fu della Gilda, non è dato sapere. Nulla ci è giunto di ciò che accadde dopo gli Eventi Ultimi; dopo la Frattura tra il Paladino e il Monaco, tra le unioni più salde, per divergenza di dimore (ma si vocifera anche di un’uscita con il tre di Bastoni, mai perdonata); dopo che ognuno dei Confratelli ottenne la Conoscenza Suprema; dopo che il Ladro si fermò tra la neve. Niente di tutto questo ci è concesso sapere; ma non disperate: ché anche se nulla di ciò è ancora stato tramandato, forse un giorno ci raggiungerà un Nuovo Canto.

9 - Il Ladro

Ultimo nel nostro canto, ma tra i Creatori Primi della Gilda stessa, giunge il Ladro. Come tutti i propri compagni, era di indole buona, e metteva le proprie capacità al servizio della Gilda. Sottile, amante della natura, nella quale sapeva nascondersi per mesi, poteva essere diretto o parlare per enigmi, o sparire e riapparire all’improvviso dopo eoni, come ogni Ladro che si rispetti; amava dileggiare per il gusto del dileggio in sè, e per questo canzonava tutti, senza risparmiare se stesso. Molti sostengono che queste abilità fossero innate; altri argomentano che furono guadagnate nella Città Innominabile, dove imparò ad adorare il Dio Calcolatore; altri, che furono un dono del Dio Rosso, al quale egli stesso si votò, dopo lunghe tribolazioni teologiche.
Come nota anima solitaria egli è sovente dipinto, negli anni della giovinezza; ma i cantori più maligni non disdegnano di alludere a lunghi anni di studi nella Città Innominabile, trascorsi in forse discinta compagnia di un Pescatore rinnegato. Certo è solo che cotanto studio gli valse una profonda conoscenza della Magia Programmatica, essenziale ad un Ladro come l'acqua ad un pesce. Ma la Città Innominabile era potente e viva; a lungo il Ladro subì l'influenza maligna che essa sprigionava, e a lungo vi tornò, ad affinare le sue Arti.

8 - La Sacerdotessa Bianca

La Chierica Bianca studiò le Arti della Guarigione nella Città Innominabile, a differenza della Rossa, aquilana di formazione. Ella meritatamente viene ricordata con tale soprannome, ché mai cedette ai veleni della Città Innominabile, seconda a nessuno nello spegnere gli animi. Tale tenacia la rese alfin visibile agli occhi del Paladino, del cui candore e fervore mistico ella era invece da lungi segretamente innamorata. Fu forse l'ardore divino ad accecare per sì tanto tempo il valido cavaliere; o forse, una naturale diffidenza per chi calzò le auree vesti della Contrada dei Santi era pienamente comprensibile, in un fiero campione dell'Indiano turchino.
Ad ogni modo, ella alfin ne divenne la compagna, ma solo in tempi molto maturi. A lungo inoltre dovette difendersi dai numerosi approcci di un chierico malvagio, suo compagno di studi, che lascivamente la voleva per sè; accampava costui una presunta appartenenza allo stesso Casato della Sacerdotessa Bianca. Solo lunghe preghiere agli dei minori LegaBovi e Sider, di cui sono famose assai le Litanie, le concessero la salvezza, insperata, per mano del Paladino. L’intera saga è molto più complessa di questo minimo compendio; Cicli Epici sono stati composti su di essa, e nessuno la esaurisce.

7 - La Sacerdotessa Rossa

Ogni gilda che si rispettasse doveva avere almeno un Sacerdote, per proteggere e curare la salute dei componenti, in pace e in guerra. La Gilda accoglieva due Sacerdotesse, la Rossa e la Bianca.
La Chierica Rossa discendeva da una nobile stirpe, originaria della città-isola di Caprula; tuttavia, fu la Capitale della Marca a plasmare la sua persona. Forse per affinità musicali (era infatti ella abile molto col Mandolino) divenne in breve tempo la compagna del Bardo, del quale molto amava il Piffero, come cantano gli aedi più licenziosi.
Questi, finalmente libero dal torpore dei sensi che lo avvolgeva dalla nascita, accettò di buon grado di sorvolare sulle voci che le costarono quel soprannome. Non sono mendaci le voci che cantano l'amicizia con la Sacerdotessa Bianca e con la Barbara, nelle stagioni della fanciullezza; e narrano molte leggende che ella, incurante della vocazione sulla Via, non disdegnasse adempiere a segreti riti in onore della stessa divinità cremisi adorata dalla sanguinaria Barbara. Nelle ballate dei trovatori più velenosi si ode finanche di fanciulli divorati da Rosse Presenze; ma un manto salace sovente nasconde ambigue brume. Solo questo io preferisco ricordarvi: che chi accennò l'argomento al Bardo, mai più godette del celestiale suono del Piffero suo.

6 - Il Bardo

Quest’ultimo suonava il Piffero come nessuno aveva mai osato. Cantore famoso in tutto la Marca, era anche un profondo conoscitore della Magia Antennica, antichissima arte oggi perduta, con la quale riusciva a diffondere la propria Musica per centinaia e centinaia di miglia. I ludi esotici assai lo irretivano, ma molto gradiva anche quelli locali, in particolare il giuoco della PallaPiede; egli esercitava spesso la Magia Antennica per visionare duelli remoti.
Nella sua giovinezza era molto amato dalle donne; ma egli era di animo leggero, quasi assente, e non sembrava accorgersene o curarsene. Anche per questo era spesso bersaglio delle ire del Paladino, che non capiva, in aggiunta, come mai egli non infondesse tutto il proprio talento nello studio della Musica Sacra; mai riuscì a capire che il Bardo era uno spirito troppo libero per coltivare un’arte così severa. Tuttavia, egli sembrava non temere l’ira divina, anzi, come è nell’animo dei bardi, si divertiva a dileggiare il Paladino e a intessere canti di burla nei suoi confronti, con grande divertimento di tutti confratelli. Nonostante ciò, il Paladino segretamente lo amava molto; fu egli, infatti, ad introdurlo nella Gilda.
Molti epiteti lo celebrano, ed il suo animo ne era lieto; ma Braccio Corto lo piccava, e mai ne conosceremo la cagione. Da angosce era libero, eccezion fatta per la sua Nemesi: lo Spettro dell'Uomo Nero.

5 - Il Paladino

Il Paladino nacque tale, ma combattè aspramente contro la propria vocazione. Il Dio suo lo tentò a lungo, per temprarne lo spirito; molte furono le prove che dovette affrontare: tentazioni della carne, della musica, dell'ingegneria. La sua anima fu spesso sul punto di traballare tra Bene e Male; alla fine scelse la Via, ma per comprendere dovette bestemmiare e rinnegare più volte il proprio Dio, e la propria madre.
Quardino di origini, vestì orgoglioso i colori della contrada dell'Indiano; un tale tirocino lo plasmò cavaliere assai valente, dotto nelle Arti Teoriche. La sua spada alla difesa di deboli e fanciulle era votata; molti nemici spesso approfittarono di sì candido altruismo. Il suo più grande peccato fu l'idromele: per espiare tale colpa, egli si autoaffliggeva titaniche porzioni di verdura, che egli consumava vorace nel suo fanatismo. Ma mai gli riuscì di trangugiare la mitica Zucchina Lessa, con la quale avrebbe potuto mondare non solo i propri peccati, ma quelli dell'intera Marca.
Fondò la Gilda, assieme al Monaco - la cui strada tentò di intraprendere a sua volta, nei primi anni della propria vita - e al Ladro; ma si narra che egli fosse cresciuto, nella fanciullezza, assieme al Bardo.

4 - Il Monaco

Il Monaco era uomo di poche ma sagge parole. Egli pareggiava una fragile costituzione (influenzato era sovente) con una grande maestria nel combattimento a mani nude. Dal leggendario maestro Boh Fel Lis aveva imparato, dopo strenui allenamenti, a saltare i fossi per lungo; ma mai gli riuscì di farlo con le mani legate dietro alla schiena, e questa debolezza era il trionfo del Barbaro, che ne approfittava per canzonarlo e per metterlo alla prova con lunghi e impegnativi Panini. Fortunato questi era, perché il Monaco lo teneva invece in alta considerazione, e mai osò alzare una delle sue infallibili mani contro un compagno.
Amava investire il proprio tempo nel perfezionamento della propria arte e nello studio degli esseri viventi. Assai morigerata era la sua vita, e da lungi non si ricordavano compagne al suo fianco a distrarlo dal proprio cammino; ma i lunghi viaggi oltre il Patriarcato Aquilano, nella Città Innominabile, dove egli celebrava i propri studi, facevano riflettere molti suoi compagni; e qualcuno sosteneva che, oltre ad eccellere nel combattimento a mani nude, egli fosse esperto assai nell’arte della lancia, grazie ad arcani allenamenti segreti.

3 - La Barbara

La Barbara sua compagna ingannava l’occhio; piccola e apparentemente di costituzione fragile, non esitava a trucidare chiunque bestemmiasse gli dei che adorava, la Saffica Xe Na e il Rosso Pancione Baffuto. Questa religione, tra l’altro, lasciava perplesso il possente Barbaro; ma ogni strage compiuta assieme soffocava nel sangue tutti i dubbi sull’affetto reciproco.
Svariate danze tribali ella conosceva, e nel suo fanatismo religioso sovente tentava di trascinare l'intera Gilda; alcuni cedettero, ma i più continuarono a considerare stravaganti e inutili le danze che ella intrecciava con i suoi adepti.
La tribù che le diede i natali dell'Alto Nord era figlia; nei Tempi Remoti le severe Montagne di Confine non li contennero. Parimenti non fermarono la Barbara, quando ella volle emulare il Barbaro suo compagno, invidiosa delle teste degli Immondi che quegli orgogliosamente ostentava; e per un certo tempo, seminò il terrore dei Boschi dei Mangiarane.
Era la sola in grado di resistere alla tremenda ira del Barbaro, con l’unica arma che lo soggiogasse: una furia uguale e contraria, ma di sesso opposto. Adorava ella le fogne, che conosceva come pochi; quivi aveva incontrato per la prima volta il suo terribile famiglio, il Toporagno dall’atroce aspetto: le volontà deboli soccombevano solo standogli dinanzi.

2 - Il Barbaro

Il Barbaro era un grande combattente, esperto molto nell’uso dell’ascia da guerra, con la quale seminava il terrore persino all’interno della stessa Gilda; fuggiva il volgo come l'onda quando egli solo tagliava la legna. La manipolazione del fuoco era l'altro grande dono: ogni anno accendeva una pira gigante, per il diletto proprio e della Gilda; e, tra lo stupore della sua gente, lo controllava con sapiente destrezza.
Uomo di indole giocosa, amava molto i racconti di avventura; conosceva a memoria le Grandi Saghe, e torturava i suoi prigionieri recitandone interi brani, fino a condurli alle soglie della pazzia. Il fiero temperamento che lo animava lo portò sovente a vagare nelle Lande Desolate che si perdono oltre l’Ultimo Fiume, per fare incetta di teste di Immondi; studiò per molti anni nella Città Sospesa, solo per ottenere la necessaria competenza nella conta dei propri trofei. Tuttavia, queste continue scorribande cominciarono a logorarlo, a poco a poco. Gli Immondi erano una razza vile, ma restia al perdono; e anche da morti, tornarono a vendicarsi, rubandogli quanto di più caro: l’Accento.

1 - Il Mago

Il Mago era assai potente nelle arti occulte, capace di grandi e oscuri prodigi, come trasformare il metallo in Musica, o ascoltare senza apparente fastidio i terribili lamenti dell’antica razza di ProZac+; tuttavia, la sua indole era buona. Pochi furono coloro che lo umiliarono, e poco vissero per raccontarlo. Solo il temibile Passaggio a Livello di Su Magh gli teneva testa, e mai riuscì al nostro di sconfiggerlo definitivamente; le battaglie contro di esso potevano durare secoli e secoli.
Innumerevoli le discussioni sulla fonte della sua forza; molti narrano di una portentosa pozione a base di bianco e castagne. In verità egli sostenne molte prove per acquisire cotanto potere; la più ardua di tutte fu il pellegrinaggio nelle lontane Terre Valenti, nome noto tra le razze lascive e dissolute; e c’è chi narra che il Mago che tornò fosse piuttosto diverso da quello che era partito.

0 - Prologo

Molto si narra (ma gli Dei sanno di più) di Eroi, di Bestie, di Terre dimenticate e sepolte dalla polvere dei secoli; ma nulla ha mai superato in magnificenza e bellezza i Canti della Gilda.

I più grandi storici ne hanno discusso il Vero Nome; Confraternita Suina è quello che ricorre più spesso. Ma per i nostri umili scopi, ci accontenteremo di chiamarla semplicemente Gilda.

La Marca del Leone Orientale era l’ultimo avamposto dei Possedimenti Marciani; oltre si estendeva il Patriarcato Aquilano, ed oltre ancora, la Città Innominabile e le Terre di Slavonia. Il Nord si perdeva nelle desolate Terre di Nessuno, le quali arrivavano a lambire le prime Montagne di Confine; l’antica città-isola di Caprula dominava il Mare Nostrum, che accarezzava la Marca a Sud. Ridente e felice era questa Terra, unica nei Possedimenti Marciani a resistere al Giogo delle Fabbriche; capoluogo ne era la Città delle Gru, fiera e piccola. Tuttavia, il grosso della Gilda era era nato e vissuto nel ridente villaggio di QumQuardia, locato qualche miglio a Sud della capitale. Nè grurino, nè quardino era il primo Eroe che cantiamo; veniva invece egli dal remoto borgo di Nono Marciano, dai bei vigneti.

Un infernale paradiso

Ho da poco iniziato a leggere Paradise Lost di Milton, nella curatissima edizione italiana Bompiani: testo a fronte e traduzione illustre, Roberto Piumini. Tanti soldini e tante soddisfazioni: il Lucifero miltoniano non è meno epico e ispirato di Ettore o di Macbeth. Per rendere perfetta l'edizione, sarebbe bastato aggiungere alcune delle stupefacenti incisioni di Doré sul tema. Provvediamo, limitatamente, in questa sede.

"[...] Here we may reign secure, and in my choice
To reign is worth ambition though in Hell:
Better to reign in Hell, than serve in Heav’n." 
John Milton, Paradise Lost (1667). Book I, vv. 261-264.

Satan Calls Forth His Defeated Legions. Gustave Doré, incisione.

Gigi Piria

Oggi ho sentito il più bel soprannome mai affibiato a persona:
Gigi Piria.

Gigi Piria.

Sinceramente, non riesco a pensare a nulla di migliore.